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Il partigiano "Topolino"
Franco Centro
09/11/1930 - Bastai Mondovì (CU) 15/02/1945 - Benevello (CU)

Franco Centro, 13 anni, lavora come apprendista meccanico a Mondovì. Dopo l’8 settembre 1943, vede la sua terra occupata dai nazisti e decide di unirsi alla Resistenza come staffetta, sfuggendo ai controlli grazie alla sua giovane età. Nonostante i ripetuti tentativi della madre di riportarlo a casa, alla fine del 1944 si unisce alla Brigata Garibaldi Luigi Fiore, dove riceve il nome di battaglia “Topolino”. Catturato dai nazifascisti nel febbraio 1945, durante l’interrogatorio subisce violenze ma non tradisce gli altri partigiani. Muore fucilato a soli 14 anni. È insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.

Le Immagini
I luoghi di questo episodio
Fonti

FONTI ARCHIVISTICO-DOCUMENTALI

- Archivio Comunale di Bastia Mondovì

- Archivio di Stato di Cuneo

- Archivio Centrale dello Stato, fondo Ricompart

- Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza, banca dati del partigianato piemontese

- Nel fondo Ricompart dell'Archivio Centrale dello Stato e nella banca dati del partigianato piemontese dell'Istituto Piemontese per la storia della Resistenza è possibile reperire anche dati su Giovanni Nino Centro, padre di Franco.

FONTI BIBLIOGRAFICHE

- “Il Cit”, in rivista Pioniere, n. 13, anno 1953

- Luisa Sturani, Una storia vera, ANPI, Roma, 1953

- Gianni De Matteis, Franco Centro, il piccolo eroe delle Langhe, La Voce, Cuneo 1955

- “Franco Centro, un eroe partigiano”, in rivista Pioniere, n. 17, anno 1958

- “Franco Centro”, in Ermanno Libenzi, Ragazzi della Resistenza, Mursia, Milano 1964 

- AA.VV., Seicento giorni nella Resistenza, Consiglio Regionale del Piemonte, Torino 1983

- Primo De Lazzari, Ragazzi della Resistenza, Teti, Milano 2008

- Ernesto Billò, La Resistenza dei giovanissimi, CEM, Mondovì 2024

ALTRE FONTI

- Istituto comprensivo “Cuneo Oltrestura”, “Un topolino che valeva 100 dei suoi uccisori”, videolezione di Ernesto Billò, 24 maggio 2023, www.youtube.com/watch?v=10CjWsYR6VE

- Testimonianze di Oreste Nuiton e Cristoforo Viara, archivio privato Arturo Ricciuti, Torino

Trascrizione dell'episodio
Il partigiano "Topolino"

Nel 1943 Franco ha solo 13 anni, ma ha già cominciato a lavorare come apprendista meccanico in un’officina a Mondovì: fra andare e tornare, sono venti chilometri tutti i giorni. L’unico suo momento di svago è giocare a pallone con gli amici quando la sera rientra a casa, nella piazzetta delle scuole di Bastia Mondovì, il piccolo paese delle Langhe dove abita, nella “Granda”, la provincia di Cuneo. 

Anche da quelle parti dopo l’8 settembre arriva la guerra: i tedeschi in pochi giorni occupano tutto il nord Italia e gli italiani si dividono: alcuni si ribellano e danno vita a bande di partigiani, in montagna, oppure alla lotta clandestina nelle città; altri non prendono le armi ma supportano la Resistenza con ogni mezzo; altri ancora, i fascisti, collaborano con i nazisti. Poi ci sono quelli – e sono tanti – che cercano di cavarsela in attesa che il peggio passi. 

Franco è poco più di un bambino ma non ha nessuna voglia di stare a guardare: lui vuole diventare partigiano e combattere i nazisti. Il suo nome di battaglia sarà “Topolino”. Nell'autunno del ‘43 il papà di Franco, Giovanni, si unisce ai partigiani e prima di salire in montagna dice al figlio che ora sarà lui l’uomo di casa e dovrà prendersi cura di mamma e sorelle. 

Per qualche tempo Franco tiene fede all’impegno, ma dopo mesi di minacce e ritorsioni dei nazi-fascisti, che vogliono costringere i compaesani a denunciare chi si è unito alla lotta partigiana, anche lui a fine marzo del ‘44 decide di unirsi ai partigiani. 

Nella zona di Bastia si sono da poco insediati alcuni gruppi delle formazioni autonome del Maggiore Enrico Martini, nome di battaglia Mauri, ufficiale di carriera dell’ex Regio Esercito e futura Medaglia d’Oro al Valor Militare. Sono brigate formate da militari e non legate ai partiti politici: nell’estate del ’44 si uniscono al I° Gruppo Divisioni Alpine e sotto il comando di Mauri diventeranno il gruppo partigiano più numeroso e tra i più attivi nella Guerra di Liberazione nel basso Piemonte. 

Franco li raggiunge a Rocca Cigliè e comincia a fare la staffetta per portare ordini e dispacci su e giù per le colline con la sua bicicletta, passando inosservato ai posti di blocco per la sua giovanissima età. Chi mette i bastoni tra le ruote della sua bicicletta però non sono tanto i nazisti quanto la mamma. La signora Maria infatti sale spesso in montagna, lo trova e lo riporta a casa. 

Franco però non ha intenzione di rinunciare. Alla fine del 1944, dopo un lungo cammino nella neve con un altro partigiano raggiunge Nanni Latilla, comandante della 99a brigata Garibaldi Luigi Fiore, nella quale chiede di poter entrare. 

- Quanti anni hai?

-  Quattordici, compiuti.

- Non ti pare d’esser troppo giovane?

-  Sì. Ma per far la staffetta va bene. L’ho fatto per mesi dalle mie parti.

-  Da dove vieni?

-  Bastia Mondovì.

-  Per chi facevi la staffetta?

-  Per quelli di Mauri.

-  E perché vieni da noi?

Franco non risponde subito, abbassa gli occhi.

- Perché mia mamma qui non potrà arrivare. Ad ogni pericolo veniva su a portarmi via. Non capiva quanto era pericoloso. Per lei e per tutti.

- Tua mamma sa cosa vuol dire esser partigiano. Vuol dire fame, freddo, paura! Ogni attimo rischi pallottole. E se ti catturano, ti torturano. Tua mamma lo sa, capisci?

- Sì, ma io ne ho viste troppe, i nazisti combattono tutti noi, non solo i partigiani, ormai non posso tornar indietro. Se devo morire, preferisco morire da partigiano.

Dopo un attimo di riflessione il comandante Nanni lo accetta e lo fa portare a Benevello, dove serve una staffetta. Il distaccamento è nascosto un centinaio di metri sotto al paese, in una casa abbandonata. Il comandante è Saetta, con lui attorno alla stufa si scaldano una decina di partigiani. Lo accolgono bene, gli danno un paio di scarponi troppo grandi che lui riempie di stracci, calzoni a sbuffo e un giubbetto grigioverde.

Franco chiede anche di avere il mitra, come loro. Ma per fare la staffetta non serve, per passare inosservato non può avere le armi. Allora Franco chiede di avere almeno una stella, come loro. Un partigiano gliela appunta sul petto e gli dà il nome di battaglia: “Topolino”. Dimentica il tuo nome, gli dicono. Se i nazifascisti lo scoprono, si vendicano sui tuoi.

L’inverno è duro: nevica tantissimo e i rifornimenti sono difficili, si consumano le scorte di cibo, vestiario, coperte, medicinali, munizioni. I compagni non vogliono che il ragazzino partecipi ai combattimenti e lui ci resta male. Poi capisce che anche facendo la staffetta si combatte. Non si ferma mai, anche perché è così piccolo che nessuno lo sospetta e ai posti di blocco lo lasciano sempre passare. Con scaltrezza riesce più di una volta ad intrufolarsi tra i nazifascisti e a raccogliere informazioni preziose.

All’alba del 12 febbraio 1945, i partigiani sono sorpresi dall’ennesimo rastrellamento di quel tremendo inverno e risalgono la montagna per combattere meglio. Stavolta anche “Topolino” spara, con un moschetto. Dopo una battaglia di due ore arrivano i rinforzi dei nazifascisti e, per evitare di essere accerchiati, Saetta ordina di fuggire a due a due.

Poi consegna una busta a “Topolino” con l’ordine di portarla al comando. Torino, un suo compagno più grande, si offre d'accompagnarlo. Riescono a superare il bosco e dopo aver camminato tutto il giorno e gran parte della notte si fermano in un casotto in fondo a un vallone. La mattina dopo una pattuglia nazista li sorprende nel sonno e li cattura.

Legati ai polsi da una corda sono trasferiti a Castino e nell’albergo Roma li chiudono in una stanza al primo piano. “Topolino” tenta di liberarsi ma è impossibile. Allora chiede al compagno di sfilare la busta da sotto la maglia, se la fa consegnare e in fretta se la mangia tutta. 

Vengono interrogati da un ufficiale nazista che schiaffeggia il compagno, ma non lui. Ordina di portare fuori Torino e di rinchiudere il ragazzo nella stanza al primo piano. Dalla finestra “Topolino” vede Torino che cammina davanti a un gruppo di nazisti che d’improvviso si fermano e sparano.

Franco piange a lungo, poi s’addormenta. Rimane solo il resto del giorno e l'intera notte.

Al mattino di giovedì 14 febbraio, in albergo arrivano i fascisti d'Alba del capitano Gagliardi e del tenente Rossi: saputo del ragazzino prigioniero vogliono interrogarlo. I nazisti lo consegnano e se ne vanno. Viene riportato al pianterreno, e legato a una sedia, mani dietro alla spalliera. L’interrogatorio è lungo, duro: lo lusingano, lo minacciano, lo picchiano, gli strappano la stella. “Topolino” tace: lui, ragazzino, vuol esser uomo. Più uomo di loro. Vuole essere un partigiano.

È notte quando i fascisti slegano “Topolino” per portarlo fuori. Sulla strada per Alba un gruppo di uomini armati si avvia, stretti addosso a un ragazzino. A un chilometro fuori dal paese lo spingono sul ciglio della strada e gli dicono che è ancora in tempo per chiedere la grazia. Lui chiede una sola grazia: riavere la sua stella tricolore. Il sergente lo fissa. Poi dalla tasca se la sfila e la dà a Topolino che l’appunta sul petto.

Una raffica di mitra fa rotolare il suo corpo di ragazzino giù dal ciglio della strada, i grandi scarponi da uomo scivolano fuori dai piccoli piedi. La neve comincia a tingersi di rosso.

Franco Centro – nome di battaglia “Topolino” – è Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.

Dopo la Liberazione, con una pubblica sottoscrizione iniziata dal suo maestro elementare, sulla facciata della scuola di Bastia è stata posata una targa per ricordare lui e il suo amore per “l’Indipendenza della Patria e per la libertà”.

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