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Giovani Resistenti
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La Resistenza delle Donne
Maria Romana De Gasperi
19/03/1923 - Trento 30/03/2022 - Roma

Le donne sono state protagoniste fondamentali della Resistenza, garantendo cibo, armi e soprattutto comunicazioni vitali tra i partigiani. Tra loro, ragazze giovanissime come Maria Romana De Gasperi, che sostiene l’attività clandestina del padre Alcide e della Democrazia Cristiana, trasportando messaggi nella Roma occupata dai nazisti e rischiando la cattura. Milena Zambon, originaria di Padova e attiva nel salvataggio di prigionieri, viene arrestata dai tedeschi, deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück, sopravvive e nella prigionia riscopre la sua fede cristiana e il valore profondo dell’amicizia. Tina Anselmi, sconvolta dall’impiccagione di partigiani a Bassano del Grappa, entra nella Resistenza come staffetta, percorrendo chilometri in bicicletta per trasmettere ordini e informazioni. Dopo la Liberazione, il ruolo svolto dalle donne non ha ricevuto il giusto riconoscimento, ma la storia dimostra che senza di loro la Resistenza non sarebbe stata possibile.

Le Immagini
I luoghi di questo episodio
Fonti

MARIA ROMANA DE GASPERI

Maria Romana De Gasperi, De Gasperi uomo solo, Mondadori, Milano 1964

Alcide De Gasperi, Cara Francesca. Lettere, Morcelliana, Brescia 1999

Maria Romana De Gasperi, Mio caro padre, Marietti 1820, Bologna 2003

Alcide De Gasperi, La vita di Gesù narrata alla figlia Maria Romana, Morcelliana, Brescia 2020

Francesco Bechis, “Maria Romana De Gasperi, il coraggio della memoria”, Formiche, 30 marzo 2022, www.formiche.net/2022/03/maria-romana-de-gasperi-memoria

“Alcide De Gasperi: ultimo premier del regno e primo della Repubblica, raccontato dalla figlia”, a cura di Riccardo Michelucci, Focus Storia, n. 184, febbraio 2022, www.focus.it/cultura/storia/alcide-de-gasperi-ultimo-premier-regno-italia-primo-della-repubblica-raccontato-dalla-figlia

“Mio padre Alcide. Intervista a Maria Romana De Gasperi”, a cura di Riccardo Michelucci, Marginalia, Della Porta Editori, www.dellaportaeditori.it/marginalia/intervista-a-maria-romana-de-gasperi

MILENA ZAMBON

Milena Zambon, “Memorie”, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2008

Luisa Bellina - Maria Teresa Sega, “Milena Zambon”, in “Tra la città di Dio e la città dell'uomo, Donne cattoliche nella Resistenza Veneta”, Istresco-Iveser, Treviso-Venezia 2004

Laura Delsere, "Milena, la partigiana che diventò suora di clausura", Avvenire, 25 aprile 2019, www.avvenire.it/chiesa/pagine/milena-la-partigiana-che-divento-suora-di-clausura

Gelsomino Del Guercio, “Nei lager eravamo in due: il Signore ed io. Così la partigiana Milena è diventata suora di clausura”, Aleteia, 24 aprile 2019, www.it.aleteia.org/2019/04/29/milena-zambon-suora-partigiana-salvata-da-dio-in-lager-germania

Milena Zambon (1922-2005), www.resistenzeveneto.it/Profili_partigiane_materiali/profilo_Milena_Zambon.pdf

TINA ANSELMI

Tina Anselmi, " Zia, cos'è la Resistenza?", Manni Editori, San Cesario di Lecce 2003

Tina Anselmi – Anna Vinci, "Storia di una passione politica", Sperling & Kupfer, Milano 2006

“Resistenza italiana. La testimonianza di Tina Anselmi”, 25 aprile 2006, www.teche.rai.it/2016/01/resistenza-italiana-la-testimonianza-di-tina-anselmi

Tiziana Noce, “Tina Anselmi”, Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, 2020, www.treccani.it/enciclopedia/tina-anselmi_%28Dizionario-Biografico%29

Tina Anselmi, ANPI, www.anpi.it/biografia/tina-anselmi

Trascrizione dell'episodio
La Resistenza delle Donne

Senza le donne, i partigiani non avrebbero potuto fare la Resistenza. Senza le donne, i partigiani non avrebbero potuto nascondersi, trovare cibo, medicinali e rifugio, avere armi e munizioni. Senza le donne, soprattutto, la Resistenza contro i nazi-fascisti non avrebbe avuto uno dei beni più essenziali quando si combatte: la comunicazione tra i comandi, le informazioni sul territorio e sui piani del nemico. Senza le donne, semplicemente, la Resistenza sarebbe durata pochissimo. 

Dopo l’annuncio dell’armistizio con gli Alleati, l’8 settembre del 1943, i militari italiani all’estero e in Italia rimangono senza ordini mentre in pochi giorni i tedeschi occupano il nord e il centro del Paese, dove comincia la Resistenza anche grazie alle donne. Tutte le donne, di qualunque estrazione: operaie e impiegate, suore e contadine, professoresse e casalinghe: molte sono giovanissime. 

All’inizio sono meno controllate dalle truppe d’occupazione perché non combattono e possono quindi muoversi liberamente: aiutano chi è andato in montagna a formare le brigate partigiane portando viveri, armi, medicine e messaggi, oppure segnalando i movimenti del nemico. Inoltre, aiutano chiunque abbia bisogno di fuggire: i militari sbandati che non vogliono essere catturati dai nazisti, i prigionieri inglesi che sono evasi, le famiglie di origine ebraica che rischiano la deportazione. 

Li nascondono in casa e nei conventi, li vestono con abiti civili, li guidano al confine con la Svizzera. Nascondono tutte le armi che trovano per non farle avere ai tedeschi. In questo episodio vi raccontiamo le storie di tre di queste ragazze resistenti. 

La prima ragazza che raccontiamo è Maria Romana De Gasperi, la primogenita di Alcide, leader della Democrazia Cristiana e primo presidente del Consiglio della Repubblica Italiana. Nasce a Trento nel 1923 e fino ai diciott’anni non sa molto della vita del padre perseguitato dal fascismo. Nel 1941 nota però che spesso la casa si riempie di persone che usano nomi falsi e capisce che sono tutti antifascisti romani, di diverse appartenenze ideologiche e politiche. 

Dopo l’8 settembre i nazisti invadono Roma e con un gruppo di studenti universitari Maria Romana abbandona le lezioni e non sostiene esami come forma di protesta. Insieme a questi amici partecipa alla distribuzione di volantini clandestini e aiuta a nascondere le armi per i partigiani nelle grotte di tufo della campagna romana. 

Sono giorni febbrili: De Gasperi tiene i contatti con la Resistenza in tutta Italia, scrive articoli per giornali clandestini e lavora alla nascita della Democrazia Cristiana. Per paura dell’arresto si nasconde con altri politici in San Giovanni in Laterano e quando le retate aumentano, si trasferisce in una stanza in Piazza di Spagna messa a disposizione dal cardinale Celso Costantini. 

Tre volte la settimana, Maria Romana va in Piazza di Spagna in bicicletta o in tram vestendosi con abiti colorati: quando riparte nasconde nel cestino o nella borsa, sotto frutta e verdura, i messaggi del padre per i partigiani e gli articoli per i giornali clandestini. 

Maria Romana aiuta volentieri la causa, ma chiede al padre di farle sapere il meno possibile: lei non è coraggiosa e se la catturano è sicura che vuoterebbe il sacco alla prima domanda. Fortunatamente non verrà mai scoperta dalle autorità, nemmeno quando sul tram la sua borsa si rompe rovesciando fogli e verdura. Un uomo l’aiuta a raccogliere tutto e la invita a scendere. 

Alla fine della guerra, Maria Romana diventa segretaria del padre e passerà la vita a diffondere l’eredità politica e spirituale di Alcide De Gasperi, senza mai dare troppa importanza alle sue azioni come spesso accade alle donne che hanno contribuito alla Resistenza. 

Milena Zambon nel 1943 ha 21 anni e lavora a Padova alla Banca d’Italia. La sua famiglia sfolla dalla città, lei però non vuole assolutamente rinunciare al lavoro e quindi va a vivere con la famiglia di tre amiche, le sorelle Martini: Teresa, Lidia e Liliana. 

Con loro frequenta un gruppo di giovani che segue Padre Placido Cortese, poi ucciso dai tedeschi a Trieste, e partecipa a una rete di studenti che conduce ex prigionieri del regime fascista in Svizzera. Milena decide di farlo non solo per spirito di avventura ma anche perché sente il dovere di agire per carità cristiana. 

Nei primi mesi del '44, guida cinque viaggi tra Padova e Como, e salva così una ventina di uomini. Il 14 marzo, però, due soldati nazisti e un fascista entrano in Banca d’Italia e l’arrestano: a tradire la rete clandestina è stato forse un certo Franco, uno sloveno che avevano aiutato a scappare. 

Nel carcere Paolotti è interrogata duramente e poi condannata alla fucilazione a Venezia, dove però la condanna è commutata in sette mesi di carcere duro e dieci anni di lavori forzati in Germania. 

Liliana e Teresa, le amiche con cui viveva a Padova sono rinchiuse come lei a Venezia ma in un’altra cella e per poterle vedere Milena si arrampica sulla piccola finestra della sua cella: un giorno però cade male e si rompe la caviglia. Lasciata senza cure la frattura si salda male e rimane zoppa. 

Dentro questa esperienza così dura riscopre la fede e il rosario quotidiano, tanto che dopo qualche mese in quel carcere il rosario è diventato la preghiera di tutte le detenute, sia comuni che politiche. 

Di quei mesi scrive: «Devo dire di aver spesso trovato, anche in vere delinquenti, un fondo di bontà generosa, addirittura commovente. È proprio vero che non esistono creature completamente cattive. Tutte, negli abissi più fondi del male, conservano un raggio dell’infinita bontà di Dio».

In quel carcere nasce una grande amicizia con Maria Mocellin, detenuta politica, più grande di lei e madre di tre figli. Questa fede rinnovata e questa amicizia saranno messe alla prova quando le due donne sono trasferite in un campo di sterminio in Germania. 

Milena e Maria sono prima trasferite al carcere di Bolzano e dopo tre mesi nel lager di Ravensbrück. Ci arrivano dentro un carro bestiame e nel diario scrive: «Ci trovammo in una landa deserta che si stendeva a perdita d’occhio, non c’era niente, nemmeno un monte che limitasse l’orizzonte. Davanti a noi c’era un campo immenso, recintato di cavi ad alta tensione, e popolato di baracche di legno». 

Alle due donne viene tolto tutto, gli anelli, la giacca, le scarpe, i vestiti. Anche il rosario. Anche il nome, che viene sostituito dal numero di matricola tatuato sul polso: quello di Milena è il numero 11824. 

La loro testa viene rasata, sono vestite con una divisa e poi trasferite nel campo di lavoro a Wittenberg, dove Milena compie 22 anni il 13 dicembre.  La vita nel lager è durissima, il cibo è poco e il lavoro estenuante: bastano piccolissimi sbagli, o un colpo di sonno durante il lavoro, per essere uccise a bastonate. 

«Se non avessi visto con i miei occhi non crederei a certe cose; la ferocia umana giunge fin dove non arriva quella delle belve. Che cosa non diviene il cuore dell'uomo quando si allontana da Dio!».

Milena sopravvive fino all’arrivo dei russi nella primavera del 1945, ma è gravemente malata. Dopo molti ricoveri arriva in Italia ma deve tornare in ospedale e fare un intervento. Torna finalmente a casa più di due anni dopo, il 20 agosto del 1947, ma fatica a riprendere una vita normale: tutto quello che desiderava prima le appare poca cosa.

Nel '48 rinuncia a una proposta di matrimonio perché capisce di essere chiamata alla vita monastica e così entra nel monastero delle Monache Benedettine a Ferrara con il nome di suor Rosaria. 

La sua storia, come quella di molte altre giovanissime donne, sarebbe stata dimenticata se la madre superiora del convento non l’avesse convinta a scrivere le sue memorie, per testimoniare che dentro al male è possibile trovare un aiuto inaspettato. Quando ricorda l’esperienza del carcere, infatti, la descrive così: 

«Questo mutamento duro all’inizio mi disorientò, poi mi fece rientrare in me stessa. In quelle lunghe giornate di solitudine ripensai alla mia vita, alle persone e alle cose che tanto mi avevano occupata, e ne vidi per la prima volta il nulla sconcertante. Capii di aver perso tempo, ma non mi disperai. Fino ad allora, Dio era stato al margine, come una parentesi mattutina in ogni giornata. In quel vuoto improvviso che si era fatto intorno e dentro di me restò l'unico, il solo. E mi prese tutta. [...] Mi ha fatto toccare con mano il nulla delle creature perché vedessi cos'è l'infinito. Lo sentii vicinissimo, così vivo come se lo vedessi». 

L’ultima storia che raccontiamo è quella di Tina Anselmi, esponente di spicco della DC e prima donna a diventare ministro, una storia che mostra un ruolo essenziale della guerra partigiana, ma che a lungo è stato sottovalutato: la staffetta. 

Nata a Castelfranco Veneto, Tina è giovane militante dell’Azione Cattolica e frequenta l’Istituto magistrale presso il collegio delle suore del Sacro Cuore a Bassano del Grappa. 

Il 26 settembre 1944, i tedeschi impiccano 31 partigiani agli alberi bassi di Viale Venezia usando cavi telefonici e costringono tutta la popolazione ad assistere, anche studenti e studentesse. Chi respira ancora viene strattonato per le gambe dai volontari diciottenni delle Fiamme Bianche fino alla morte. Uno spettacolo atroce. 

Tina ha solo 17 anni e assieme alle sue compagne deve guardare: «Era uno spettacolo macabro, un monito a chi osasse ribellarsi, giovani presi in ostaggio e che non erano responsabili di alcun atto di guerra […]. Ritornate in classe scoppiò tra noi una discussione violenta, ci siamo perfino picchiate; alcune dicevano che i soldati avevano fatto bene perché quella era la legge e altre difendevano i partigiani perché la legge non può andare contro i diritti della persona. Il preside, Monsignor dal Maso, fu molto chiaro con noi: disse che quello era omicidio e che non c’è legge dell’uomo che può andare contro la legge di Dio. Questo episodio ci obbligò a rispondere alle domande che avevamo da molti mesi: cosa possiamo fare? Stiamo qui e guardiamo? Possiamo assistere alla sofferenza che avviene intorno a noi senza fare niente? Dovevamo agire. E l’ultima spinta me la diede proprio l’Assistente di Azione Cattolica». 

Tina entra nella resistenza con il nome di battaglia “Gabriella” e fa la staffetta della Brigata Cesare Battisti guidata da Gino Sartor. Le staffette sono essenziali alla lotta: permettono la comunicazione tra le Brigate partigiane, tra le Brigate e i Comitati di Liberazione Nazionale, tra i comandi e i distaccamenti. 

Nei primi mesi, Gabriella ha il compito di trasmettere le informazioni. La mattina va a scuola e il pomeriggio gira con la sua bicicletta per tutto il Veneto. Quando non va a scuola, arriva a percorrere fino a 100 km al giorno. Poi passa al comando regionale veneto del Corpo Volontari della Libertà, dove partecipa ai sabotaggi e alla raccolta dei rifornimenti paracadutati dagli Alleati. 

Nel dicembre del '44 inizia la lotta sindacale in difesa delle donne che lavorano nelle filande, malpagate e maltrattate, venendo anche arrestata, e poi si iscrive alla Democrazia Cristiana. La storia di Maria Romana, Milena e Tina sono solo un esempio delle migliaia di donne che hanno deciso di lottare per la Resistenza. 

Raramente hanno potuto usare le armi, anche perché non gli è stato insegnato a combattere, ma hanno creato una rete di trasporto e rifugi per uomini, cibo, armi, medicinali e vestiti. Ma soprattutto per il bene indispensabile sul campo di battaglia tanto quanto le armi: le informazioni.  

Eppure, dopo il 25 aprile queste donne sono spesso definite ‘collaboratrici’, un termine che non rende giustizia dell’importanza del lavoro che hanno compiuto e anzi lo sottovaluta. È un torto che non avviene solo a livello terminologico: quasi sempre infatti a queste donne non sarà riconosciuto un compenso in denaro come ai loro compagni uomini. 

Tutto quello che hanno fatto, però, come dimostra la ricerca storica, è una componente essenziale della Resistenza in tutto il nord e centro Italia e moltissime hanno pagato il loro impegno con la morte e le torture. Vogliamo ricordarle perché senza di loro non sarebbe stato possibile combattere per riconquistare la libertà del nostro popolo.

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