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La guerra di Ercole
Ercole Chiolerio
23/03/1928 - Torino 03/03/1945 - Albugnano (Asti)

Nella Torino occupata, il quindicenne Ercole Chiolerio, figlio di genitori non vedenti, lavora come operaio per sostenere la famiglia ed è gia parte della Resistenza. Si unisce ai partigiani in Val di Lanzo, dove opera prima come staffetta, poi come telefonista coordinando le comunicazioni. Nel corso della lotta scopre di avere un problema cardiaco che lo ostacola nelle marce in quota, ma continua il suo impegno nella Resistenza con determinazione, partecipando a battaglie sulle montagne e operando in clandestinità contro i nazifascisti. Viene ucciso il 3 marzo 1945 in uno scontro ad Albugnano, durante il quale si era offerto volontario per coprire la ritirata dei compagni. È insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.

Le Immagini
I luoghi di questo episodio
Fonti

FONTI ARCHIVISTICO-DOCUMENTALI

- Archivio Comunale di Torino

- Archivio di Stato di Torino

- Archivio Centrale dello Stato, fondo Ricompart

- Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza, banca dati del partigianato piemontese

FONTI BIBLIOGRAFICHE

 - Piero Carmagnola, Vecchi partigiani miei, Franco Angeli, Milano, 1945-2007

- “Ercole Chiolerio”, in Ermanno Libenzi, Ragazzi della Resistenza, Mursia, Milano, 1964

- Mario Foieri, Non son cose che si dimenticano, Genesi, Torino, 2001

- Comitato unitario antifascista Chieri, Antifascismo e Resistenza nel Chierese, Turingraf, Torino, 1975 (in particolare le edizioni aggiornate 1995 e 2008)

- AA.VV., Seicento giorni nella Resistenza, Consiglio Regionale del Piemonte, Torino, 1983

- Primo De Lazzari, Ragazzi della Resistenza, Teti, Milano, 2008

 - Aldo Serena, “I suoi genitori non lo videro mai e neppure la sua medaglia d'oro al valor militare”, in Civico 20 News, 20 maggio 2023

- Intervista-testimonianza di Giuseppe Gastaldi, archivio privato Mauro Sonzini

FONTI SITOGRAFICHE

A Ercole Chiolerio hanno dedicato pagine specifiche i seguenti siti internet:

- anpi.it

- combattentiliberazione.it

- it.wikipedia.org

- movm.it

- museotorino.it

Trascrizione dell'episodio
La guerra di Ercole

Nella Torino occupata, un’autoblindo nazista si ferma in piazza S. Rita. Scendono tre soldati che vanno a rinfrescarsi alla fontanella poco distante e non si accorgono che dall’altra parte del viale appare un ragazzino che corre silenzioso verso il mezzo, apre senza rumore lo sportello posteriore. Vede due pistole, le afferra e scappa via. Solo in quel momento i militari lo vedono, saltano sull’autoblindo e lo inseguono a tutta velocità ma è troppo tardi: lui è già sparito. 

Quel ragazzino che ha soffiato le armi sotto il naso dei nazisti si chiama Ercole Chiolerio. Ha 15 anni e fa parte di un gruppo di ribelli che diffondono clandestinamente volantini e si danno da fare per procurare ciò che serve ai partigiani. 

Tra loro Ercole si distingue per il coraggio che lo porta a fare azioni spericolate. Molti pensano che sia solo l’incoscienza dell’età, ma quello che lo spinge è l'urgenza d'aiutare gli altri quando c'è bisogno. E i partigiani hanno bisogno. 

Anche se giovanissimo, lavora alle Officine Subalpine Apparecchiature Elettriche come disegnatore meccanico. Ha iniziato a dodici anni e ora è lui il principale sostegno di famiglia: papà Giovanni è cieco dalla nascita, mamma Assunta invece ha perso la vista a quattro anni, si sono conosciuti studiando assieme all'Istituto Regionale dei Ciechi. Ercole si occupa di loro, anche leggendo ogni sera alla luce delle candele pagine e pagine di libri.

Papà Giovanni è accordatore di pianoforti ma con la guerra il lavoro manca e lui si sforza di tirare su qualche soldo suonando in strada il violino. Di sera il figlio, rincasando, lo cerca seguendo l’eco delle note, lo prende sottobraccio e insieme rientrano. 

Per suo padre desidera un avvenire diverso: “In una società giusta – gli dice – ognuno fa ciò di cui è capace: tu hai studiato e, quando il fascismo sarà morto, potrai guadagnarti da vivere con la musica”. Papà Giovanni risponde che quando il fascismo sarà morto, sarà tardi, come tardi è per tutti coloro che la guerra ha già ferito, mutilato, ucciso. A madri, mogli e figli non restano che fotografie, e tante volte neppure quelle. E tardi sarà anche per Ercole: nulla e nessuno potrà risarcirlo della gioventù spesa a far fronte alla durezza di una simile miseria.

Una sera Ercole rompe gli indugi e chiede: “Papà, ti darebbe dolore se salissi in montagna fra i partigiani?”. Giovanni ha capito da tempo che il figlio vuole fare qualcosa e se questa è la sua scelta, dice, non glielo impedirà. 

Con mamma Assunta invece è molto più difficile, lei scoppia in lacrime: ha terrore che lo uccidano! Ercole le prende le mani e prova a confortarla: anche le altre mamme hanno paura. Ma si fanno forza. Che mondo può essere se si è costretti a restare ostaggi della paura? Dovesse capitare di morire, dice, la sua vita sarà spesa per uno scopo grande, per il futuro di tutti.

Martedì 6 giugno 1944, due giorni dopo la liberazione di Roma e proprio lo stesso giorno dello sbarco in Normandia, a sedici anni Ercole parte con l'amico Mario: arrivano con il treno a Condòve in val Susa e poi si fanno sei ore di cammino per raggiungere Lémie in val di Lanzo e arruolarsi nella 19a brigata Garibaldi al comando di Natale Rolando nome di battaglia Rolandino.

Ercole dapprima fa la staffetta, poi il telefonista. In poco tempo si distingue per efficienza e sangue freddo. Quando la formazione viene investita da un rastrellamento nazifascista, E rcole si mette in contatto con tutti i distaccamenti e li aiuta a sganciarsi dal nemico segnalando mezzi e movimenti. 

Solo quando i nazifascisti sono ormai vicinissimi, lui chiude le comunicazioni, taglia i fili, occulta l’apparecchio e in salita corre a raggiungere i compagni. Quella corsa gli rivela un difetto al cuore che l'altitudine acuisce: il fiato gli vien meno e i battiti aumentano tanto, troppo. Oltre ai nemici, quindi, sulle montagne Ercole deve combattere l’affanno del respiro ma tiene duro, è sicuro che prima o poi si abituerà e tornerà a essere veloce come quel giorno d’estate in piazza S. Rita.

Il 21 agosto centoventi fascisti arrivano di nuovo per rastrellare con le autoblinde e i cannoni. Le brigate partigiane sono posizionate più in alto, scendono e riescono ad accerchiarli alle spalle, fermandoli sul fondovalle. Un sacerdote tratta e la sua mediazione evita, per questa volta, spargimenti di sangue. Ai fascisti è concesso di ritirarsi, ma nessuno si illude. Torneranno presto, con maggiori forze.

E infatti tornano meno di un mese dopo, il 18 settembre 1944, assieme ai tedeschi: attaccano prima al lago della Torre, oltre 2000 metri, poi più in alto ancora, fino a quasi 3000 metri al lago della Rossa. I partigiani li combattono per più giorni e anche di notte, alla luce della luna. Alla fine viveri e munizioni cominciano a scarseggiare e resistere è impossibile. Il grosso si ritira per raggiungere la Francia mentre Ercole e un piccolo gruppo copre la ritirata. 

Ma quando arriva anche per loro il momento di ritirarsi, Ercole dice ai compagni che il suo cuore non ce la fa, che potrebbe essere un peso. Scherza: “Sono partigiano di pianura, io!”. Si separa da loro con un abbraccio e poi si dilegua da solo fra i crinali delle montagne. 

A Torino Ercole entra nelle SAP le squadre d'azione patriottica: è un altro modo di fare il partigiano, in città la clandestinità espone a pericoli più imprevedibili. Il 27 dicembre Ercole e un altro compagno, Renato, pedinano due nazisti: in una strada deserta li fermano puntando le pistole, gli sfilano le armi e svaniscono nella nebbia. 

Il giorno dopo i due, assieme al cugino di Ercole, Carluccio, hanno appuntamento lungo la ferrovia con un amico d’infanzia che sospettano essere doppiogiochista e che, infatti, si presenta con tre sgherri. 

I ragazzi tirano subito fuori le pistole e i fascisti alzano le mani. Mentre Ercole li disarma uno di loro gli sferra un pugno in faccia. Renato e Carluccio gli sparano e approfittando della confusione gli altri due fascisti scappano. 

Il mattino dopo, 29 dicembre, i fascisti della Decima Mas circondano le case popolari di via Tripoli 75 dove abita Ercole: cercano proprio lui. Trascinano in strada uomini, donne e anziani, alcuni li portano via con i camion. E la retata continua anche tutto il giorno dopo. 

Ercole capisce di dover lasciare Torino e torna nella 19a brigata Garibaldi, che nel frattempo si è trasferita sulle colline attorno Superga. È il 3 marzo 1945 e le notizie sono molto buone: i nazi-fascisti stanno cedendo su tutti i fronti, bisogna solo tenere duro. Poco prima delle sette la sentinella del distaccamento che presidia Albugnàno segnala una colonna in movimento sulla Chivasso-Asti. Non c’è tempo, subito parte il fuoco nemico contro il cascinale dove è alloggiata la formazione. 

I partigiani sono circa una ventina, si nascondono nel bosco e da lì il comandante Lorenzo Torretta – nome di battaglia Cino – fa rispondere al fuoco. Il gruppo però viene sorpreso anche alle spalle e stanno per essere accerchiati. Combattendo strada per strada riescono ad aprirsi un varco verso la parte alta del paese. Ma le SS avanzano obbligando gli abitanti a camminare davanti a loro, come scudi umani. Per evitare di colpire i civili, Cino ordina ai suoi compagni di uscire dal paese. 

Sulla strada per Pianfiorito i nazisti hanno lasciato indietro i civili per inseguire più velocemente i partigiani che si stanno ritirando: sono tanti e salgono rapidi, sempre più vicini. Il distaccamento stavolta non ce la farà a sganciarsi. 

Come pochi mesi prima con Ernesto Gorla e Domenico Pagliassotto, nomi di battaglia Graticola e Memo, Ercole si offre per coprire la ritirata. Piazzano una mitragliatrice in una buca sulla strada e sparando senza fermarsi riescono a rallentare i nazisti, li bloccano. 

Quando arriva l’ordine del comandante di lasciare la posizione e mettersi in salvo i tre ragazzi non si muovono e continuano a sparare, con le munizioni prossime ad esaurirsi, finché non sono travolti dal fuoco dei tedeschi. Da sinistra infatti, aggirando la collina, è sbucata una pattuglia nazista che li investe di raffiche di mitra. Ercole sente una fitta alla spalla, poi un'altra al braccio. Il gruppo però è in salvo. Aggrappato all’arma Ercole spara finché una raffica lo colpisce a morte, insieme a Memo e Graticola. Si piega in avanti poggiando il viso sulla mitragliatrice.

La Medaglia d'Oro al Valor Militare di Ercole viene richiesta subito, nell'immediato dopoguerra, ma viene assegnata solo nel 1953. Nel frattempo gli amici e i compagni della Resistenza non hanno mai smesso di stare vicini ai genitori e alle due sorelle. L'anno seguente viene apposta una lapide nell'androne di casa, in via Tripoli 75. 

Nel 1968 l’appartamento abitato dalla madre vedova da cinque anni e dalla figlia Maria Pia, prende fuoco: le due donne perdono tutto tranne le sette bobine sui cui è registrato il libro di Piero Carmagnola che racconta anche della vita partigiana di Ercole, e della sua morte. Mamma Assunta si è rifiutata di uscire dalla casa invasa dal fumo e dalle fiamme fino a che i soccorritori non le hanno trovate e portate in salvo. 

A Ercole non sono intitolate vie, scuole o giardini, ma lungo il cammino Don Bosco che congiunge Albugnano a Castelnuovo don Bosco, in località Pianfiorito è stato innalzato un cippo che ricorda il suo sacrificio e quello dei suoi compagni. 

La loro è stata una scelta libera e liberante, piena di coraggio e dedizione agli altri, la stessa che ha portato tantissimi altri a entrare nella Resistenza: sono oltre 22mila infatti i ragazzi tra i 15 e i 19 anni, quasi tre quarti dell’intera forza combattente, che dopo l’8 settembre decidono di unirsi alle brigate partigiane. 

Lo fanno di propria volontà, esattamente come Ercole: nessuno ordinò di formare delle bande contro i tedeschi, nessuno ordinò di disobbedire ai nazisti o agli ordini di leva della repubblica di Salò. Erano ragazzi che volevano semplicemente vivere in un mondo libero e che hanno donato la propria vita per costruirlo.

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